La vita del cane guida per non vedenti
22 agosto 2013
4 min

La vita del cane guida per non vedenti

addestramento
Di recente mi è capitato di confrontarmi con un collega che si occupa di addestramento di cani guida per non vedenti, e ho potuto così verificare che tutte le mie perplessità relativamente a quest’attività hanno decisamente un fondamento.

I cuccioli a due mesi vengono affidati a una famiglia che si occuperà di loro fino al raggiungimento di un anno di età, dopodiché vengono tolti dall’ambiente domestico per essere introdotti in una struttura che si occuperà del loro addestramento.

Anche ad altri cani, in generale, può capitare di essere affidati a una famiglia e poi cambiare proprietario, ma questo nella maggior parte dei casi è frutto di superficialità o di un errore di valutazione, fatti comunque in buona fede, da parte di chi dà in adozione il cucciolo o di chi lo riceve o di entrambe le parti; deciderlo a priori, solo per strumentalizzare a propri fini personali la vita di un essere vivente, è una scelta che eticamente mi lascia perplessa, e che ritengo contraria ai principi di Carta Modena e ai diritti fondamentali di un soggetto.

L’addestramento cui sono sottoposti questi cuccioloni, poi, è estremamente duro e impiega la maggior parte della loro giornata, mentre la restante è dedicata esclusivamente al riposo.

Non si cerca di formare soggetti aperti e in grado di acquisire capacità critica, come qualunque percorso educativo dovrebbe fare, ma li si priva della conoscenza dei piaceri più naturali per un cane, come la relazione con i conspecifici, l’attività esplorativa, il correre liberamente in un prato.

Un cane guida deve dedicare tutta la sua vita a indicare la via al non vedente, non può permettersi lungo il cammino di fermarsi ad annusare un odore che lo interessa, di voltarsi a guardare un altro cane che gli scodinzola o di rispondere alle sue provocazioni, né tantomeno fermarsi e interagire.

Un cane guida non può godere della carezza di un passante, né decidere quando fermarsi e riposare, e dove farlo.

Il suo campo espressivo viene limitato a ciò che è strettamente utile al fruitore, viene repressa ogni libera iniziativa e la sua vita è esclusivamente dedicata ad altri.

Questo è ciò che gli viene insegnato da cucciolo e il suo destino è segnato a sessanta giorni.

I soggetti più docili se la cavano meglio, e si rassegnano con relativa facilità (sempre, comunque, di rassegnazione si tratta), mentre quelli con un carattere un po’ più forte devono essere piegati, e qui non possiedo informazioni sufficienti per affermare con sicurezza con quali metodi, ma l’esperienza mi fa ritenere che possano solo essere duri, perlomeno sotto il profilo psicologico.

A due mesi, quindi, si decide che un soggetto dovrà diventare un santo, senza tenere in alcuna considerazione le sue reali inclinazioni e privandolo completamente della possibilità di esprimere se stesso, a esclusivo beneficio di un essere umano.

Qualche famiglia riesce a ritagliare del tempo libero per questo povero soldato, e permettergli di rilassarsi e di godere di qualche semplice attimo di libertà, ma in molti casi vengono addirittura sconsigliati dalla scuola che glielo ha assegnato, in quanto si afferma che è meglio evitare che il cane conosca uno stile diverso da quello della totale abnegazione, altrimenti, poi, “ci prende gusto”.

In molti casi il cane entra nella famiglia esattamente come potrebbero entrare una sedia a rotelle o un paio di stampelle, talvolta tra persone che, in situazioni diverse, non avrebbe mai deciso di adottarlo.

E per finire, molto spesso, se il non vedente viene a mancare, il cane, che non serve più, viene dato in adozione ad altri.

A questo punto posso solo constatare che, dietro all’idea romantica del cane generoso che immola la sua vita a beneficio del suo padrone, ci sta l’ennesimo sopruso dell’essere umano.