Socialità e socializzazione
14 giugno 2013
6 min

Socialità e socializzazione

etologia
Credo che una delle caratteristiche etologiche che il cane domestico abbia ereditato e maggiormente conservato dall’antenato lupo sia la SOCIALITÀ. Ѐ indubbio che nel cane la socialità sia molto sviluppata, anche il cane moderno vive in funzione della socialità per cui, arricchitasi anche della componente interspecifica a favore dell’umano, l’appartenenza a un gruppo interattivo (il branco) diventa fondamentale e richiede una sua strutturazione e organizzazione. Questo spiega il perché per il cane – e di conseguenza per il proprietario – sia così difficile rimanere da solo. La socialità resta, comunque, una dote caratteriale che avrà modo di esprimersi con volumi, parametri e modalità differenti nelle varie razze e nel singolo. Inoltre, abbiamo detto che essa richiede una sua strutturazione a livello di posizionamento o rango e di ruolo.

Questo avviene, anche, in funzione di una corretta SOCIALIZZAZIONE! Molto spesso si cade nell’equivoco di considerare i due termini come sinonimi.

Ѐ vero che il cane che abbia fatto una buona esperienza di socializzazione, avrà acquisito la capacità di sapere relazionarsi con gli altri, con l’umano e con l’ambiente (competenza sociale), ma non necessariamente sarà un compagnone a oltranza o un mendicante di coccole: in altre parole, potrebbe apparire come un soggetto poco sociale….

Ѐ, anche, vero che soggetti di cui viene dichiarata una socializzazione integerrima nei tempi e nei modi, sapranno esprimere- non più cuccioli- in maniera esplicita le loro intenzioni di preferire essere lasciati nel loro brodo! Attenzione però: ho detto lo SAPRANNO fare!

Nella mia personale esperienza di allevatore amatoriale mi occupo di cani da pastore della Ciarplanina e sono, giocoforza e volontariamente, in contatto con amici e colleghi che allevano razze dalle tendenze caratteriali/attitudinali simili: Pastori del Caucaso e Pastori dell’Asia Centrale. Originariamente sono accomunate da un antenato comune e da una millenaria storia selettiva operata dai pastori, per renderli efficaci e predisposti a livello attitudinale nello svolgere un certo lavoro: la protezione e vigilanza del gregge dagli attacchi e dalla predazione da grossi predatori animali (lupi ed orsi) o briganti umani.

In questa tipologia di razze, l’espressione della socialità intesa come senso di appartenenza a un pack (branco) con una precisa funzione operativa si manifesta con una spiccata tendenza alla territorialità e alla dominanza da parte di alcuni soggetti e, di conseguenza, a una scarsa socialità nei confronti degli estranei intra o intersfecifici che siano. Questo a dispetto di un intenso programma di socializzazione che io raccomando caldamente, pena trovarsi in cortile una belva isterica incapace di discriminare lo stimolo, valutare cosa realmente possa rappresentare una minaccia ed essere conscio del suo ruolo e del suo rango!

Apparentemente un Ciarplanina è meno sociale di un Retriever: io dico che la sua forma di socialità si esprime con parametri differenti; dove uno è portato a una diffidenza pragmatica abituale e scarso desiderio relazionale con l’estraneo, l’altro vede nell’interazione relazionale uno stimolo irresistibile ed entusiastico al suo tipo di SOCIALITÀ. Trovandosi a passeggiare fuori dal proprio territorio, un Ciarplanina equilibrato e ben socializzato, incrociando un altro cane che non manifesti segnali provocatori, non necessariamente reagirà, ma esprimerà a livello posturale e di atteggiamento una chiara volontà a non relazionarsi (“Ehi, lasciami perdere che preferisco stare per i fatti miei e sono piuttosto intransigente, meglio che lasci perdere se no c’è il rischio che te corco”), cosa che semplicemente scoraggerà l’altro dal continuare la sua azione in avvicinamento, quando invece il nostro Retriever manifesterà tutto il suo entusiasmo in forma giocosa: “Ehi amico, ti va di giocare?”. Questo a patto che ci sia stata a priori l’esperienza della SOCIALIZZAZIONE!

Tenderei, per questo, A NON DEFIRE IN TERMINI STRETTI LA SOCIALITÀ COME UNA DOTE CARATTERIALE, AL PARI DI ALTRE QUALI TEMPRA, TEPERAMENTO, DOCILITÀ – come era nella tradizione della vecchia scuola, che le valutava singolarmente e indipendentemente non in una relazione d’insieme – MISURABILI IN FUNZIONE DI UNA SCALA DI VALORI CHE VA DAL BASSO ALL’ALTO, MA PIUTTOSTO COME UN ATTRIBUTO TIPICO CHE A SECONDA DELLE VARIE RAZZE PUÒ ESPRIMERSI IN TERMINI E MODALITÀ DIVERSE.

Si potrebbe definire il secondo cane un individuo “prosociale”, ma niente mi porterebbe a considerare affetto da alcuna forma di SOCIOPATIA il primo cane!

Per SOCIOPATIA, infatti, si intendono disturbi comportamentali legati a difetti e incapacità relazionali (disocializzazioni, cani morsicatori…) e alterazioni dell’organizzazione del gruppo con modificazioni dei riferimenti gerarchici. Ѐ evidente che, trattandosi di disturbi relativi al “branco”, possiamo distinguere sociopatie intraspecifiche e sociopatie uomo-cane.

Bene credo che si possa affermare che una buona parte delle sociopatie e dei disturbi relazionali in genere si possa far risalire a una CATTIVA SOCIALIZZAZIONE.

Se con il termine SOCIALITÀ ci riferiamo a una prerogativa etologica della specie cane, il termine SOCIALIZZAZIONE indica una FASE FORMATIVA della vita del cucciolo che va dalle 3/4 settimane fino alle 12 e magari qualcosa oltre. Questo periodo è a sua volta compreso in un altro momento estremamente critico che prende il nome di PERIODO SENSIBILE; nome che deriva da una maggiore disponibilità, fluidità, e duttilità nelle risposte del cucciolo.

Fondamentalmente quello che il cucciolo acquisisce durante questa fase sono quattro elementi indispensabili per la sua vita futura e la sua realizzazione:

·         GLI AUTOCONTROLLI;

·         IL DISTACCO;

·         LA COMUNICAZIONE;

·         LE REGOLE DELLA VITA DI GRUPPO (GERARCHIZZAZIONE).

In generale. si può dire che il cucciolo impara a fornire risposte adattative adeguate nei confronti dello stimolo cui è esposto!

Di fatto la chiave per garantire al cucciolo, che abbiamo detto essere particolarmente disponibile e recettivo, sta proprio nella possibilità. Mi verrebbe da dire necessità, di offrire l’opportunità di venire esposto al maggior numero di stimoli possibile!

Questo si realizza, come detto, mediante un PROGRAMMA RAGIONATO E GRADUALE di contatto e conoscenza di tutta una serie di stimoli (il maggior numero) presenti nell’ambiente e nella società in cui il cucciolo andrà a vivere. Ciò al fine di considerarlo “normale”, senza che possa innestare una reazione di paura inconsulta, il che non significa esattamente che l’intento sia quello di creare un temerario, un braveheart senza riserve, ma un soggetto che saprà valutare ciò che è buono rispetto a ciò che è cattivo.

Per questo ho parlato di un programma che significa di non gettare il cucciolo allo sbaraglio e procedere ad capocchiam, ma rispettando alcune elementari regole di buon senso. Ci può stare l’esperienza negativa, ma mai quella traumatica perché tale rimarrebbe per tutta la vita, con grandi difficoltà rimediare e far cambiare idea in un periodo successivo.