La crisi non intacca il pet food, ma c’è chi non mette il chip per paura del redditometro
22 gennaio 2013
2 min

La crisi non intacca il pet food, ma c’è chi non mette il chip per paura del redditometro

La difficile situazione economica che stiamo attraversando ha spinto in molti a rivedere la propria scala delle priorità, valutando con attenzione quello che è veramente necessario comprare e quello di cui si può fare a meno. Nonostante la penuria di denaro – in base a quanto emerso dalla quinta edizione del rapporto Assalco-Zoomark – “gli italiani sembrano non rinunciare a garantire ai propri animali da compagnia una nutrizione sana e bilanciata”. Solo nel 2011, infatti, la continua crescita del mercato del pet food ha raggiunto i 1.604 milioni di euro, “corrispondenti a oltre 536 mila tonnellate vendute, segnando una crescita del 2,1 per cento del segmento dominante costituito dagli alimenti per cani e gatti”. I prodotti più gettonati risultano essere quelli di tipo “economy”, sia in offerta sia scontati, e soprattutto quelli a marchio della grande distribuzione: in questi settori si registra una quota di aumento del 25,1 per cento. Secondo i negozianti, lo spostamento dei consumi di fascia alta a quella medio-bassa c’è, tuttavia al Nord è inferiore (30,4 per cento) rispetto alle altre aree del Paese (il 38,3 per cento al Centro e il 45 per cento al Sud). “I consumatori – dichiara il presidente dell’Associazione nazionale tra le imprese per l’alimentazione e la cura degli animali da compagnia (Assalco), Luigi Schiappapietra – pur vedendo limitato il proprio potere d’acquisto, si dimostrano consapevoli dell’importanza del benessere del proprio amico a quattro zampe, e non rinunciano a crocchette e scatolette nonostante le difficoltà economiche”. L’88 per cento dei veterinari – sostiene il rapporto – consiglia ai propri clienti un’alimentazione industriale per gli animali d’affezione. Tra le altre cose, la legislazione ha di recente imposto che tutte le informazioni riportate in etichetta siano ”chiare, accurate, facilmente comprensibili e scientificamente comprovate”. La paura di incappare nel redditometro, invece, sembra scoraggiare le spese veterinarie e, in particolar modo, l’applicazione – tra l’altro obbligatoria – del microchip. Ѐ quanto denunciato in una nota dall’Associazione nazionale medici veterinari italiani, in cui è riportato il caso di un proprietario che, invitato dal proprio medico veterinario ad assolvere l’obbligo di iscrizione all’anagrafe dei suoi nuovi cuccioli, ha rifiutato di farlo per timore del Fisco. Per l’Anmvi si tratta solo dell’ultimo “assurdo aneddoto che testimonia lo strabismo istituzionale di un Governo che da un lato lavora alla sanità veterinaria e dall’altro la distrugge, l’ultima prova in ordine di tempo, dell’urgenza di togliere le spese veterinarie dal redditometro”.