La paura dei rumori forti
2 maggio 2013
8 min

La paura dei rumori forti

Sui cani da caccia al canile si sente sempre dire che sono lì “perché non sono buoni” o perché “hanno paura dello sparo”. È molto più probabile invece che siano lì… perché hanno incontrato un padrone inadeguato, che non ha saputo comprenderli a dovere. Forse sono, o perlomeno erano, cani come tutti gli altri. È persino possibile che la famigerata paura dello sparo sia frutto di più concause, nonché dello zampino del sopraccitato proprietario inadeguato.

La paura dei rumori forti è un problema sgradito nei cani da compagnia, poiché può essere complesso gestire un animale che ha la fobia dei rumori e diventa ancor più grave se il cane deve partecipare a manifestazioni sportive in cui c’è un elevato grado di rumore o, peggio, se è richiesta la prova di indifferenza allo sparo. Un cane da caccia, o da utilità e difesa, che ha paura dello sparo è il peggior incubo del proprietario, poiché si tratta di una fobia di non semplice risoluzione: non tutti i proprietari e gli addestratori hanno il tempo, la pazienza e le competenze indispensabili per recuperare il soggetto e, anche quando li possiedono, capita che il cane sia stato danneggiato in maniera irreparabile e non ci sia nulla da fare.

Il mito del gene della paura del fucile

In pochi, però, sanno che, con le dovute accortezze, il rischio di ritrovarsi per le mani un cane che ha paura dei rumori forti e improvvisi si riduce drasticamente. Tantissimi sono convinti che il timore di suddetti rumori sia di origine genetica: partendo da questo presupposto, gli allevatori accoppiano solo soggetti che non hanno manifestato questo problema. Nonostante questo buon punto di partenza, però, continuano a esserci cani che hanno paura del fucile, dei tuoni e dei botti di Capodanno. All’interno della stessa cucciolata, però, capita ci siano cani tranquilli in presenza dello sparo e altri che danno i numeri. Di fronte a due fratelli che reagiscono diversamente ai rumori si ricorre alla spiegazione che “non tutti i cuccioli sono uguali”, il che è verissimo ma perché non mettere in nota anche le condizioni di vita di questi cani durante il loro sviluppo cognitivo?

Patrick Pageat è un comportamentista francese famoso in tutto il mondo, in uno dei libri che ha scritto per il grande pubblico (altre sue pubblicazioni sono pensate per veterinari e comportamentisti) dedica un paragrafo a questo tema e lo intitola “Il mito del gene della paura del fucile”. L’autore parte dal presupposto che i cani esistono da molto più tempo rispetto ai fucili e che, pertanto, Madre Natura avrebbe dovuto programmare l’esistenza di un simile gene con larghissimo anticipo, parliamo di migliaia di anni! Pageat spiega che l’origine di una cattiva reazione allo sparo (o a un rumore forte ed improvviso) non va ricercata nella genetica, bensì nella cattiva preparazione del cane a questi stimoli. Il ragionamento non fa una piega, tuttavia la mia personale esperienza cinofilia – che non pretende di essere verità assoluta – ha fatto sì che riscontrassi questo problema in alcune razze più che in altre.

La realtà dei fatti

La radice del problema sembra essere nella mancata o nella insufficiente socializzazione del cucciolo con i rumori. Un cucciolo abituato nei giusti tempi e nei giusti modi ai rumori difficilmente avrà paura dei rumori forti e improvvisi: è difficile, infatti, riscontrare questo problema in cani allevati in casa, in mezzo a rumori e confusione. Ricordo la rhodesian ridgeback di un’amica portata ad accompagnare una pointer durante una sessione d’addestramento. La cagna era stata lasciata in macchina ma, con l’aumentare della temperatura, la si è fatta scendere non senza qualche perplessità sulla sua reazione agli spari. Certo, i suoi avi andavano a caccia di leoni, ma i suoi genitori e antenati più recenti erano cani da compagnia e da esposizione: nessuno si era premurato di verificare se avessero o meno paura dello sparo. La proprietaria, ciononostante, era tranquilla, ha detto che il cane non aveva mai mostrato strane reazioni a rumori e a spari uditi in lontananza, così l’abbiamo messa alla prova: Masara non ha dato alcun peso agli spari. Genetica o ambiente? La cagna era nata in casa, in mezzo ai rumori ed è cresciuta tra casa, città e stazioni ferroviarie, luoghi non propriamente silenziosi.

Non sapendo come avrebbe reagito, abbiamo cercato di presentarle lo sparo con qualche cautela, iniziando con spari lontani e cercando di associare al rumore (un potenziale stimolo spiacevole) a qualcosa di molto piacevole. Nell’addestramento del giovane cane da caccia, invece, vuoi per desiderio di saltare le tappe, vuoi per eccessiva ingenuità, non è infrequente che si commettano errori nell’introdurre l’elemento sparo. Ci si dimentica il criterio della gradualità o, ancora, non ci si premura di associare allo sparo un evento positivo, o quantomeno a un rinforzo positivo. Le stesse ingenuità sono commesse dai proprietari di cani da compagnia: cuccioli portati a casa a Natale (e quindi in prossimità dei botti di Capodanno) a un’età corrispondente al “periodo della paura”; cani sempre vissuti in ambienti tranquilli scaraventati di punto un bianco in ambienti rumorosi, ecc.

Fino a qui abbiamo messo in elenco solo fattori ambientali (mancata abitudine del cucciolo ai rumori – maldestra introduzione dello sparo nella vita del cucciolo), ma siamo sicuri che non ci sia nulla di genetico? Dobbiamo credere ciecamente a Pageat?

I geni: un piccolo apporto

Nì… Cioè il gene della paura dello sparo non esiste ma, come già spiegato, ho riscontrato ansie e paure imputabili a una carente socializzazione più in alcune razze che in altre, cioè anche tra cuccioli figli di genitori non timorosi, allevati in box e poco abituati ai rumori e tra giovani cani introdotti maldestramente ai rumori forti ci sono reazioni buone e reazioni cattive. Le razze più colpite sono quelle ritenute più “morbide” di temperamento. Si tratta di cani forse più sensibili agli stimoli (un dato che può avere radici fisiologiche) e quindi più impressionabili. La mia ipotesi viene avvalorata da un altro comportamentista, Ian Dunbar che parla della sensibilità ai suoni. Ribadendo l’importanza di introdurre i cuccioli ai rumori prima che gli occhi siano aperti e che l’udito sia completamente sviluppato, sottolinea che questo è particolarmente importante in alcune razze come quelle da pastore (conduttori del gregge) e da obedience. La mia mente corre subito al border collie, una splendida razza che non è estranea a problemi di ipersensibilità ai rumori e che, pare avere una parentela genetica, con il setter inglese (e forse anche con lo springer spaniel).

Prima di acquistare un cucciolo, Dunbar invita a verificare come si comporta in caso di rumori, anche forti e improvvisi. È normale che un cucciolo rimanga un po’ spiazzato, ma non è normale che abbia crisi di panico. Un parametro da considerare, secondo lui, è il tempo di rimbalzo, ovvero l’arco di tempo che passa tra l’esecuzione del rumore e la reazione del cucciolo e l’accettazione di cibo da parte del cucciolo. Generalmente, il tempo di rimbalzo (in cuccioli allevati a parità di condizioni) è:

a) brevissimo in caso delle razze di tipo bull (forse include, anche, i molossoidi in questa categoria n.d.a);

b) breve nelle razze da guardia, difesa e utilità e nei terrier;

c) più lungo nelle razze da conduzione del gregge e nei toy.

Questa scarna classifica è qui per dirci che, probabilmente, ci sono razze più sensibili ai rumori e che per queste ultime una corretta socializzazione con i rumori è ancora più indispensabile. I cani da caccia, fatta eccezione dei terrier, non vengono nominati, ma mi sento di azzardare una presenza trasversale nelle categorie b e c. Metterei in c il setter, il breton, gli spaniel, il bracco e lo spinone, alcuni segugi da piccola selvaggina e in b il deutsch drahthaar, il deutsch kurzhaar e alcuni segugi da grossa selvaggina (non escludo che qualche loro soggetto sia addirittura da gruppo a). La mia è un’opinione che non pretende di essere verità assoluta ed è nata osservando diversi soggetti più o meno problematici. Per farla diventare statisticamente attendibile, dovrei testare un numero infinito di cuccioli e leggerne i tempi di ripresa.

A questo punto, è obsoleto credere ancora nel gene della paura dei rumori forti, ma è attuale credere in una maggiore sensibilità al rumore presente in alcune razze (e/o linee di sangue). Una maggiore sensibilità ai rumori va considerata come parte del bagaglio genetico della razza, un dato, così come il pelo lungo o il mantello macchiato, non un elemento negativo a prescindere: sensibilità al rumore non è sinonimo di paura del rumore, la prima sfocia nella seconda solo se la socializzazione è insufficiente. È normale che un cucciolo si mostri spiazzato di fronte a un rumore forte, ma reazioni di panico e tempi di ripresa lunghissimi non sono normali, sono semplicemente la conferma di una socializzazione carente.

Il ruolo della madre

Il già citato Pageat, pur negando ogni predisposizione genetica ad ansia e paura, parla di una trasmissione congenita che avverrebbe attraverso il passaggio dell’atteggiamento della madre ai cuccioli. Una madre con problemi comportamentali sarebbe in grado di trasmetterli ai cuccioli, interagendo con loro in maniera scorretta. In allevamento si rincorrono spesso stalloni famosi, dimenticandosi del ruolo fondamentale della madre. La femmina, infatti, non solo trasmette il suo patrimonio genetico ai cuccioli, ma è anche colei cui spettano il loro accudimento e la loro educazione. Ogni madre è il modello esemplare che i cuccioli imitano: scegliamole bene!

 

Rossella Di Palma