L’apprendimento canino e l’ereditarietà di un patrimonio
12 luglio 2013
7 min

L’apprendimento canino e l’ereditarietà di un patrimonio

Ritengo che la direzione intrapresa dalla selezione – in seguito ai risultati delle prove di lavoro – con le valutazioni del momento, comporti alcuni rischi, non considerati da molti.

Trattando questa materia, mi scuso anticipatamente se qualche termine sarà poco chiaro, ma lo considero ormai patrimonio comune nell’ambiente cinofilo.

Una forma di apprendimento ancora parzialmente ereditario è quello indagato da Konrad Lorenz nelle sue ricerche. Le forme di apprendimento vero e proprio, tuttavia, sono più articolate e presentano una maggiore variabilità. Ecco allora che vi sono:

l’apprendimento per prova ed errore – consiste in una serie di prove che l’animale compie per raggiungere un certo scopo, ad esempio, procurarsi il cibo. In genere migliorano la loro strategia dopo ogni tentativo, evitando di compiere gli errori che non hanno portato a risultati;

l’apprendimento per imitazione – è tipico dei giovani che imparano, osservando i genitori o altri adulti;

l’apprendimento per assuefazione – avviene quando, ad esempio, il cane cessa di aver timore dell’aspirapolvere oppure gli uccelli non temono più lo spaventapasseri, vedendo per lungo tempo la sagoma, senza percepire nulla di pericoloso;

l’apprendimento per associazione – quando, ad esempio, un cane inizia a scodinzolare, vedendo il padrone con il guinzaglio. Questo tipo di apprendimento è stato a lungo studiato dal russo Pavlov (i cui risultati sono adottati in cinofilia) e, in casi particolari, può arrivare al condizionamento, quando un segnale è associato a una reazione dell’animale.

infine, l’apprendimento per intuito – è la forma più elevata, tipica degli animali superiori, di cui fa parte l’uomo (anche se non sempre). In questo caso concorrono facoltà complesse, come osservare la situazione del momento, ricordare esperienze vissute, per poi praticare la soluzione più adatta all’evenienza.

Questa premessa etologica era necessaria, perché gli studiosi di questa scienza, osservano e descrivono il comportamento animale, che è sempre legato alla genetica e all’ambiente.

Quanto interessa noi riguarda il criterio di scelta, imperniato principalmente sulla scelta dello stallone tra i vincitori dei trial, come valutato allo stato delle cose.

È innegabile che l’insieme del bagaglio genetico dell’animale sia trasmesso agli eredi; diamo, quindi, anche per assodato (considerato che tutti i biologi concordano) che i caratteri acquisiti non possano trasmettere un bel nulla.

Su questo punto ritengo necessario soffermarmi, tenendo conto che nel nostro ambiente, sopravvivono ancora convinzioni di stampo lamarckiano, ormai superate dai primi del Novecento, ma restie a morire. La teoria dell’uso e non uso di Lamarck (oggi superata), che sostiene che la funzione crei l’organo; ovvero il ritenere che l’uso di un organo, quale, ad esempio, l’orecchio lungo, che ha una speciale funzione. Il carattere orecchio lungo si è avuto per “mutazione” e le mutazioni possono essere geniche, cromosomiche e genomiche. Il processo ha precedenza sulla struttura e questa sulla funzione.

Un’altra corbelleria, esposta da un giudice alcuni anni fa, è che Arkwight avrebbe selezionato i pointer con forte commessura labiale, onde far sì che potesse galoppare ruotando in alto la testa sul collo. La commessura sarebbe, dunque, una riserva di tessuto. Ne deriverebbe, di conseguenza, che un pointer privo di commessura labiale ben marcata sarebbe impossibilitato a portare, nel galoppo, la testa in quella determinata posizione, che è propria della razza.

Ancora lamarckismo e non vi sono commenti a scusante. L’argomento era stato trattato su “Zoognostica canina” negli ultimi anni Sessanta e ripreso da quel signore in modo pedissequo.

Si tenga conto che l’assunto “la funzione ha creato l’organo” è considerata completamente errata da tutti i biologi evoluzionisti.

Tornando all’argomento in discussione, si dovrà convenire che l’attuale direzione intrapresa da molti di adoperare soggetti dalle prestazioni straordinarie nella nota superiore, la drande ricerca, senza valutare altri elementi importanti nell’allevamento, stia così conducendo a produrre un numero troppo elevato di soggetti con bassa attitudine venatoria.

In questa particolare nota, il preparatore del cane non adotta mai la tecnica d’insegnamento per assuefazione, citata poco sopra, quale ad esempio è sempre ricorso lo scrivente fin da ragazzo, bensì si ricorre a “pressioni” che causano stress. Molti pensano che questi mezzi servano a correggere il cane per costringerlo a fare qualcosa, ma, a un’analisi più profonda, quello che succede è che il cane impara che un certo comportamento gli permette di evitare lo stress, come se diventasse una via di fuga provocata dal conduttore. Tecnicamente, si parla di comportamenti di evitamento. Questa situazione viene mantenuta solo artificialmente: il cane non deve essere in grado di sfuggire allo stress attraverso un comportamento naturale o il comportamento naturale sarà nuovamente la sua prima scelta (non per nulla si chiamano comportamenti naturali). Mentre il comportamento naturale associato a un rinforzo positivo fa sì che il cane sviluppi al massimo quella forma di apprendimento per intuito, che è parte del suo bagaglio genetico. Nel primo caso, come abbiamo visto, la paura scatena nell’animale una condizione emotiva e fisiologica particolare, che lo predispone a reagire e ad apprendere rapidamente e in modo indelebile. Questo meccanismo, riferito ai termini dell’addestramento, permette quindi di ottenere rapidamente le risposte desiderate, a fronte di un apprendimento per motivazione, che non intacca le iniziative naturali, ma richiede sicuramente tempi di molto superiori e risposte inizialmente meno precise nella quantità e nella qualità dell’esecuzione.

Chi ha dimestichezza con i metodi di addestramento – oltre a riconoscere e distinguere fra comportamento innato e comportamento acquisito – non può avere dubbi sulle indicazioni da dare nella prova. Ciononostante, sembra esservi notevole difficoltà nel riconoscere quanto esprime un soggetto sul terreno, valorizzando così comportamenti ricavati esclusivamente dall’addestramento, per ciò acquisiti e non trasmissibili. Convengo sia molto più complesso formarsi un giudizio su un cane in azione sul terreno con iniziativa innata, confondendola molto probabilmente con mancanza di ordine. È molto più agevole stabilire di riconoscere, come qualità, l’azione più simile a uno schema preordinato sul tecnigrafo di un geometra, piuttosto che il lavoro di un cane che dimostri di saper trovare i selvatici a branchi in autunno. Le geometrie di cui sopra, da Colombo erano bollate “incubi dopo l’indigestione”. Così facendo, perciò, si rischia di indirizzare la selezione verso soggetti le cui doti naturali non sono state realmente testate, avendo dato troppa rilevanza a tutto quanto acquisito attraverso l’addestramento coercitivo.

Occorre precisare che tutto questo ha permesso, nell’ultimo decennio, di ottenere risultati tutto sommato discreti, se non addirittura buoni, nell’addestramento. Andando oltre le consuetudini degli uomini, e persino quelle dei cani, è importante sapere che “ogni sistema e ogni strumento dell’addestramento ha il suo uso, sul cane giusto, usato nel modo giusto, dalla persona giusta, per il giusto motivo” (John Fisher, addestratore Americano).

Il problema, con questi metodi, è proprio che spesso alcune, se non tutte, queste condizioni non si avverano. In questo caso gli effetti sono drammatici e indelebili, senza considerare le condizioni di stress e ansia, alle quali è comunque sottoposto il cane.

Nella scelta tra convincere e costringere, anche quando la seconda sembra una via più diretta ed efficace, la prima rimane sempre la più sicura, quella che nel tempo garantisce buoni risultati o quantomeno non prevede effetti collaterali gravi e indelebili. Chi si occupa di cani, come chi frequenta il mondo delle prove e – a maggior ragione – chi si preoccupa di addestrarli, conosce bene gli inconvenienti del problema.

Chiudo con quanto scritto da Emily Dickinson, che certamente porterà a meditare tutti i possessori di cani: “Mi avete chiesto quali sono i miei compagni. Le colline, signore, e il tramonto, e un cane grande quanto me che mio padre mi comprò. Sono migliori degli esseri umani, poiché sanno ma non dicono”.

 

Francesco Sanna